Molti specialisti in Italia e nel Regno Unito consigliano una “vigile attesa” per quanto riguarda tutti quei minori che non si riconoscono nel loro genere biologico. Cosa significa? Significa che anche se i bambini e le bambine esprimono in ogni modo la loro necessità di essere chi si sentono di essere va loro offerta la possibilità di esprimersi (offrendo loro vestiti di entrambi i generi o giochi di entrambi i generi per es.) rimanendo però socialmente nel genere che è stato loro assegnato alla nascita.
L’autrice dell’articolo, autrice insieme al marito del famoso blog Growing up Transgender , miei amici e compagni di lotta per i diritti dei nostri figli e delle nostre figlie, concordano con me su quanto queste linee guida non seguano affatto le linee guida vigenti negli Stati Uniti, in Canada, Spagna, Nuova Zelanda, Australia. Anzi in questi paesi l’attesa vigile è considerata una “transizione ritardata” e viene vista come molto dannosa per tutti i bambini e le bambine trans.
Growing up Transgender scrive:
Voglio condividere la mia esperienza, e l’esperienza di altri genitori, su cosa voglia dire aspettare e vigilare nella vita quotidiana di una famiglia. Per me vigile attesa è un termine fuorviante – sembra molto buono e sensato. Credo che il termine usato per descrivere la stessa cosa altrove, “transizione ritardata”, è una descrizione più accurata, e per coloro che invece vivono la cosa sulla propria pelle una descrizione ancora migliore che rispecchia la realtà dei fatti è “rifiuto prolungato”. Questo è ciò che “attesa vigile” significa in pratica.
Non appena mio figlio ha potuto parlare correttamente, ha affermato “Sono una bambina”. Per un po’ di tempo, nell’ignoranza totale di cosa fosse la diversità di genere, ho optato per un rifiuto attivo: “No, non sei una bambina, sei un bambino”.
Seguirono mesi e mesi di rifiuto attivo giornaliero (più volte al giorno). Mio figlio insisteva sul suo genere più volte al giorno. Il rifiuto attivo non ha portato a nessun cambiamento nell’insistenza di mio figlio (solo un aumento della sua angoscia e della sua depressione). Ho studiato e trovato le linee guida del Regno Unito che istruiscono su “un’attesa vigile”, in cui raccomandano un approccio apparentemente neutro in cui un bambino non viene attivamente respinto (cioè smettendo di dire “no non sei una bambina”) ma senza alcuna affermazione attiva (senza dire, ‘ok ti chiameremo e tratteremo come una bambina’).
Abbiamo davvero provato quell’attento approccio di attesa con nostro figlio. E voglio descrivervi come si è svolto in pratica tale approccio con un bambino trans insistente, coerente, persistente e sempre più angosciato.
Ogni giorno mio figlio piangeva e diceva “Sono una bambina”. Durante l’attesa vigile gli dicevamo che lo amavamo e che non avevamo bisogno di parlare di genere lasciandolo così a pensare che la sua mamma e il suo papà non capissero o non gliene importasse nulla di una cosa così importante per lui.
Ogni giorno si addormentava piangendo, dicendo “Ma io sono una bambina”. Io lo abbracciavo e dicevo che lo amavo, ignorando la cosa che stava causando la sua angoscia. – Mia figlia è stato lasciata a pensare che qualcosa di lei non andasse bene, che fosse sbagliata – non amabile – inaccettabile. A quanta vergogna portava il mio comportamento? Quanto era patologizzante?
Ogni giorno provavo ad abbattere attivamente gli stereotipi di genere, a cercare di abbattere i ruoli di genere o le restrizioni sull’espressione di genere senza sostenere l’identità di mio figlio. Questo ha reso il mio bambino più triste, poiché la mamma non aveva capito nulla. In una conversazione che mi viene in mente mi disse:
Bambina: “Ma mamma sono una bambina”
Io: “Ragazzi e ragazze possono fare tutti le stesse cose. Vorresti una bambola? ‘
Bambina: “Non mi piacciono le bambole, sono una bambina… Posso avere un uomo ragno?
In un altro:
Bambina: “Sono una bambina”
Io: (Pensando disperatamente a ciò che mio figlio avrebbe potuto ritenere un’attività prettamente femminile) … Ti piacerebbe provare le lezioni di balletto? “
Bambina: “Non mi piace ballare”
Io: “Cosa ti piace?”
Bambina: “Arrampicata sugli alberi. Alle bambine piace arrampicarsi sugli alberi “.
Non stavo ascoltando mia figlia. La stavo rifiutando.
I giorni trascorrevano tristi, respingenti e fissati sull’argomento del genere. Stavamo perdendo l’infanzia spensierata e divertente che i suoi coetanei invece vivevano. Ogni giorno in cui ci si sente tristi, depressi e rifiutati è un giorno perduto dell’infanzia. Ogni giorno trascorso sentendo che ciò che sei è inaccettabile per la tua mamma, è un giorno che si accumula in vergogna, odio per se stessi, bassa autostima.
Ho visto mio figlio stare sempre più giù, essere sempre meno felice, diventare meno curioso del mondo, essere meno eccitato per la vita, diventare più triste, più isolato e solo. Questo è quello che succedeva sotto i mie occhi.
Che cosa stavo aspettando? Mio figlio mi aveva detto in termini molto coerenti, persistenti e insistenti di cosa aveva bisogno. Aveva bisogno di essere amata e accettata come una bambina. Era l’unica cosa che le importava e si sentiva profondamente respinta, profondamente sbagliata, profondamente non accettata. Stavo aspettando che la sua salute mentale si rovinasse del tutto? Stavo aspettando che lei uscisse dalla ‘fase’? Stavo aspettando che raggiungesse un’età x? Stavo aspettando che lei compiesse 10 anni?
Cosa avrebbe voluto dire per lei che io aspettasi che avesse 8 o 10 anni per smettere di rifiutarla passivamente? Quale sarebbe stato il vantaggio per lei, di mantenerla in uno stato di continuo rifiuto, depressione e tristezza fino all’età di 8 o 10 anni come consigliato dal SSN?
Quali sarebbero stati i rischi di aspettare fino all’età di 8 o 10 anni fino a quando avrei smesso di rifiutarla?
Qual era la posta in gioco?
Per me la posta in gioco era la sua infanzia, la sua felicità, la sua autostima, la sua curiosità, il suo interesse, il suo apprendimento, la sua educazione. Mi importa della sua felicità proprio qui e ora.
Durante la nostra fase di vigile attesa, la mia bambina era in pausa, era bloccata, non era in grado di “prosperare”.
Non appena siamo passati invece all’affermazione, tutto è cambiato.
L’affermazione è stata una cosa molto più semplice da fare.
Lei disse:
‘Sono una bambina’
E abbiamo detto: “ok, sei una bambina e ti tratteremo da bambina”.
Abbiamo cambiato pronomi. Per quanto riguarda la nostra vita familiare, è stato un passaggio molto semplice e veloce. Abbiamo cambiato pronomi e nostra figlia è rinata. Non ha mai pianto una volta prima di dormire da quel giorno. Non voleva più parlare di genere ogni volta che eravamo soli. Ha iniziato a parlare di animali, spazio, natura e come funzionano le cose. Ha iniziato a esplorare. Ha iniziato ad avere un’infanzia. È diventata più leggera e spensierata. Un enorme fardello si è sollevato dalle sue spalle (spostandosi sensibilmente sulle nostre mentre cercavamo di far sì che il mondo tutto rispettasse la sua identità).
Il prezzo dell’attesa vigile è stato molto alto per la mia famiglia. E ancora di più per mia figlia.
L’attesa vigile ha derubato mia figlia di un periodo della sua infanzia. Un periodo in cui avrebbe potuto essere felice, amata, accettata e spensierata e invece è stata lasciata con la sensazione di essere rifiutata e sbagliata. Per una bambina come la mia, l’attesa vigile provoca grandi danni.
Sono grata che abbiamo avuto accesso ad altre fonti di informazione che non parlavano solo di vigile attesa.
Sono grata che il periodo di rifiuto non sia stato così lungo e che il danno alla sua autostima non sia stato profondo.
Sono grata che dal giorno in cui abbiamo smesso di respingerla, il semplice cambio di pronome, l’abbia fatta fiorire in ogni modo.
Adesso ride, può sognare, può imparare, sa giocare. Sta avendo un’infanzia felice e spensierata. Questo non sarebbe stato letteralmente possibile nel caso in cui avessi continuato a seguire chi diceva che dovevamo continuare a aspettare e vedere perché altrimenti l’avremmo influenzata.
Molti altri genitori raccontano la stessa storia. Genitori che usano questo approccio per mesi o anni mentre vedono il loro figlio o la loro figlia annegare.
Le persone che non hanno esperienza di vita quotidiana con i bambini trans devono iniziare a dare importanza all’impatto che l’attesa “vigile” ha in pratica nel quotidiano. Devono iniziare ad ascoltare e capire che “aspettare e vedere” non è né neutrale, né benigno, né facile. È difficile rifiutare passivamente un bambino ogni giorno. È difficile vederli annegare. È un approccio che fondamentalmente confonde i bambini trans insistenti, coerenti e persistenti. È un approccio che sottovaluta totalmente il diritto di un bambino trans a un’infanzia felice.
I bambini trans hanno solo un’infanzia. Devono sapere di essere amati come sono. Devono sapere che i loro genitori e coloro che si prendono cura di loro hanno le spalle larghe, li ascolteranno, li accetteranno, li difenderanno.
Bisogna smettere di rifiutare i bambini trans. Il rifiuto passivo può ferire tanto quanto il rifiuto attivo. Il rifiuto silenzioso, il rifiuto attraverso il silenzio e l’omissione, possono ferire tanto quanto il rifiuto attivo.
Ascoltate i vostri bambini trans. Amate i vostri bambini trans.
Mi sento di aggiungere che no, non basta offrirgli un doppio guardaroba o doppi giocattoli tra cui scegliere. Non basta dire puoi sentirti libero di esprimerti. Loro vogliono essere visti. Vogliono essere presentati per ciò che si sentono di essere. Vogliono essere chi sono.