Ieri mattina, ero nel giardino di un piccolo appartamento che abbiamo affittato al mare, lungo una delle tante belle costiere di questo paese. Le mie due figlie, una delle quali è una bambina trans di sette anni, giocavano come al solito sulla veranda. L’appartamento è piccolino e dentro fa piuttosto caldo, per cui passiamo la maggior parte del tempo, come tutt* i/le vicin* del complesso, fuori, su questa veranda. Le mie bimbe dipingevano e chiacchieravano con altre due amichette quando, all’improvviso, arrivò giusto davanti a loro un’immensa nube di bambin*. Avevano tra i 5 e i 10 anni, ma erano talmente numeros* da coprire tutta la superficie davanti alla veranda, addirittura facendo due file. Guardavano le quattro bimbe che, a loro volta, guardavano stupite, chiedendosi come mai tutta quella attenzione. In quel preciso momento, ho capito come si deve sentire un gorilla allo zoo… Dopo qualche secondo, una voce ruppe il silenzio: “Ma voi, siete maschi o femmine?”.
La più piccola delle amichette reagì senza esitare e disse: “Siamo tutte femmine!!!”.
Davanti a quella risposta chiara e netta, la nube si sciolse e i/le bambin* curios* (e impertinent*) sparirono nello stesso modo in cui erano arrivat*.
Non voglio soffermarmi sull’incredulità e preoccupazione che ho sentito o sull’agitazione delle bambine, in particolare di mia figlia più piccola. Lascio a voi immaginare quello che abbiamo provato e vi invito a una riflessione su quello che è semplicemente un piccolo esempio di tutte le angherie che le persone trans (e le persone a loro vicine) sono condannate a soffrire fin dalla loro più tenera infanzia, ogni singolo giorno.
Que* bambin* curios* (ed impertinent*) non sono altro che lo specchio di questa società, che pone il proprio voyeurismo e la propria ignoranza al di sopra della dignità delle persone. Non ce la possiamo prendere con loro. Penso sinceramente, senza rancore, che non sono altro che bambin*, che agiscono senza cattiveria…e so che non posso pretendere da loro che non siano curios* nei confronti di chi, infrangendo le inflessibili regole che la nostra società stabilisce rispetto al genere, si allontana da una “normalità” che si insegna persino a scuola.
So di non poter pretendere da* bambin* un rispetto che nessuno insegna loro, ma penso di poter pretendere che le istituzioni di questa società si muovano verso un cambiamento radicale dell’attuale stato di cose nei confronti delle persone trans.
Attualmente l’Italia si trova al 34 posto su 49 del ranking ILGA Europe, una classifica che si basa sullo studio delle leggi e le politiche che in Europa incidono sulle vite delle persone LGBTIQ+(https://www.rainbow-europe.org/country-ranking).
Mentre in questo meraviglioso paese, culla di civiltà e cultura, si dibatte sull’estensione e i termini di una (molto tardiva) legge punitiva nei confronti di chi, in modo più o meno indiretto, commette violenza contro le persone LGBTIQ+, dovremmo invece fare una riflessione profonda e urgente sulle modalità e gli strumenti per proteggere le persone LGBTIQ+ dalle continue aggressioni alle quali sono sottomesse, ma anche su quelle modalità e strumenti proattivi e formativi che permettano il cambiamento di rotta necessario affinché quelle aggressioni siano l’eccezione e non la regola.
Ogni volta che mia figlia, come qualsiasi bambin* trans, si deve nascondere per giocare, si vede sottomess* a vessazioni o brutti scherzi, evita di uscire per paura…dobbiamo riconoscere che questa società è responsabile di un grave fallimento: l’assenza di tutele dei diritti dell’infanzia. La Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia e l’adolescenza, adottata nel 1989, stabilisce che bambini e bambine hanno diritto a essere protett* da ogni discriminazione (art. 2); a vedere realizzati i loro diritti da parte delle istituzioni pubbliche (Parlamento, Governo, Scuola, ecc.) (art 4); ad avere una propria identità (art. 8); ad essere protett* da ogni forma di maltrattamento, abuso o sfruttamento da parte di chiunque (art. 19); a giocare (art. 31); …
Siamo ben lontani da poter considerare che questa convenzione in Italia sia un obbiettivo raggiunto. Urge mettersi al lavoro se vogliamo che le prossime generazioni siano esempio di un grado di civiltà che la nostra non è stata ancora capace di raggiungere. Subito!